Estratti

Capitolo 1 SCRITTE SUI MURI

Sembrava ci fosse qualcosa di nuovo perché nel conto degli anni era arrivato uno zero nel fondo e lo zero assomiglia a un inizio, qualcosa di nuovo, ma invece (probabilmente) sarebbe rimasto tutto uguale, come ieri e l’altro ieri quando l’ultimo dei 4 numeri era un 9 o un 8 –però ci sono quelle scritte sui muri – Una via del centro, stretta, certo lurida-lercia-lorda: cercava con lo sguardo i cumuli d’immondizia e le chiazze d’urina perché spesso sporcizia e fetore gli sembrava di averli dentro la testa e ne sentiva il marcio in qualunque strada di qualsiasi quartiere… Eccone un’altra, vernice nera sull’intonaco scrostato del vicolo. RAF PUNK con la A cerchiata: aveva già visto quella scritta, accompagnata a volte dal disegno di una siringa in frantumi e le parole no eroina (altri rinnegano l’amante?) scritte sui muri

RAF PUNK, ANNA FALKSS con più tondi che alle olimpiadi -> probabilmente il nome era stato scelto proprio per le tante A da cerchiare ma non erano quelle a spingerlo. Davvero c’erano dei punk a Bologna? degli altri punk a Bologna era il motivo per cui stava camminando nel vicolo immerso nell’odore di fogna …

il punk: vestiti strappati-squarciati-sgualciti-sciupati-scarabocchiati-sbagliati – spille da balia attraverso le labbra – graffe d’acciaio ficcate nella carne – sacchi per l’immondizia a fasciare le gambe – cravatte appese al collo come nodi scorsoi – parole a disegnare maniche e gambe – capelli tranciati più che tagliati tinti dei colori più improbabili con i più improbabili dei sistemi – nuvole spesse di mascara nero sulla pelle bianca di visi che mostravano come non gliene fregasse nulla di te e soprattutto nemmeno che a te non fregasse nulla di loro -> ognuno diverso dagli altri ma comunque uguali perché se vedi una divisa blu ecco uno sbirro, quello con la gonna lunga da sera sarà un prete ma qualcuno con i capelli del colore di quanto hai vomitato all’ultima sbronza ti dice semplice e chiaro come gli faccia schifo tutto

Capitolo 2 BLITZGRIEG BOP

Vennero aperti i cancelli e la gente cominciò a entrare: ci sono due posti per vedere e vivere un concerto: sotto il palco e da un’altra parte. Facile indovinare dove fosse Nove. Suonarono gli UK SUBS (belli-bravi-buoni e puoi comperarti il loro album dal vivo crash course per una recensione) poi tutti o quasi tutti cominciarono a gridare “HEY! HO! LETS GO!”: un canto, un coro, un codice, una chiamata e alla fine i RAMONES risposero.

Comparve Tommy insieme agli occhiali da sole alzando le bacchette per salutare poi presero posizione gli altri: chitarra-voce-basso / Johnny-Joey-Dee Dee (proprio sopra Nove): “ONETWOTHREEFOUR!!!!” e parte il muro, l’ondata di rumore a spazzare via tutto quanto hai nella testa, un mare in tempesta che ti si tuffa intorno.

ONETWOTHREEFOUR!!!!” un pezzo dopo l’altro non fermandosi per un respiro. Li riconobbe tutti…

Capitolo 3 CLASH not CRASS

Quando hai bisogno di una mano spesso finisci per trovarla solo in fondo al tuo braccio. Chissà se Nove era un esperto di saggezza popolare, comunque in quei giorni anche la sua mano era del tutto vuota e quindi altrettanto inutile. Non sapeva davvero dove poter chiedere aiuto.

Furono Steno, Laura o Alex non so chi dei 3 (e perché non tutti e 3 insieme?) a trovare una soluzione al suo problema: le case occupate di via San Carlo. Case vecchie in una strada vecchia e stretta, disegnata da portici bassi sotto facciate scrostate d’intonaco rosso o giallo. 2 stanze cucina e un bagno a cui era impossibile accostare la parola «grande» anche solo per rimpicciolirlo in un confronto «grande come» … la metà di un cesso chimico da cantiere.

Non c’era riscaldamento e i fili dell’elettricità strisciavano lungo pavimenti e pareti ma nessuno ne vedeva la fine: le bollette → a enel, seabo, o comunque si chiamasse allora chi s’occupava di acqua-luce-gas, quei pochi metri quadrati erano assolutamente sconosciuti…

………

…A maggio in piazza maggiore fiorirono i concerti, cosa che avviene solo quando ci sono le elezioni politiche o amministrative e il partito comunista bolognese si inventò «ritmicità» (perché non chiamarla ritmicitTà?) ed ecco gratis WINDOPEN STUPIDSET SKIANTOS RUSKUNDBRUSK KANDEGGINAGANG CLITO ANDYFOREST NAPHTA LUTICHROMA GAZNEVADA KAOSROCK… (un elenco impossibile da completare (io non ci sono riuscito né allora né oggi e non so nemmeno se i gruppi appena citati suonarono davvero). Nove non poteva ancora votare e certo non l’avrebbe fatto se per avere concerti gratis doveva ringraziare un crollo nei consensi. Ascoltò quasi tutte le band, ma lo accompagno in piazza per il culmine, l’apice, l’apogeo, lo zenit, il granfinale di ritmicitTà (fingo di essermi occupato io del marketing): 1 GIUGNO CONCERTO gratis DEI CLASH.

Si votava per le amministrative l’8 e il 9 e il manifesto con la foto di 3 della band con camicie di 3 colori differenti si confondeva con quelli dei candidati: piccì diccì piesseì emmesseì prì dippì eccetera eccetera: la sera dopo i CLASH in piazza Maggiore avrebbe cantato il compagno (?) pietro longo e proprio per colpa di un suo qualche improrogabile importantissimo impegno concerto e comizio si erano scambiati data all’improvviso e chissà quanti punk sarebbero finiti allo show del segretario del partito socialdemocratico: and i wanna give the town to the socialist squawkers (*)!

Lui comunque arrivò in piazza nel primo pomeriggio del giorno giusto, rispetto alle altre esibizioni di ritmicittà il palco era cresciuto e ingrassato strisciando sul lato corto della piazza proprio sotto il palazzo del comune: evidentemente il sindaco voleva sincerarsi di aver speso bene i suoi soldi (si sparavano cifre da 30 a 60 milioni di lire o migliaia di dollari e mucchi di sterline) contemplando dalla finestra dell’ufficio branchi di punk sventolare schede elettorali con la x sul suo nome

(*) voglio dare la città alle trombette socialiste, dal primo verso di clash city rockers dei CLASH (and I wanna move the town to the clash city rockers)

………

Capitolo 3 CLASH not CRASS

Nonostante il caldo, c’era già un bel po’ di gente e notò la ragazza bionda, (devo deluderti e abbandonare l’inganno: Nove ne aveva scoperto il nome) distribuire polemiche e volantini proprio al centro del crescentone. Si avvicinò ricevendo un ciclostile nella grafica tipica dei CRASS (immagini / testo / slogan e una sottile A bianca) accompagnato da un sorriso che invitava a leggerlo:

“…Kids il sistema continua a darci merda da mangiare-respirare-ascoltare così come ci passa questi fottutissimamente inoffensivi Clash e cerca di convincerci che il Punk è morto: non possiamo permettere che si impossessi delle nostre cose per poi svuotarle e restituircele innocue. DOBBIAMO usare ogni mezzo a nostra disposizione per evitare che ci studino, facciano tesi su di noi cerchino di interpretarci-svelarci-spiegare chi siamo cosa facciamo e cosa vogliamo. DOBBIAMO strappare il Punk dalle pagine dell’espresso e della Repubblica, ed evitare che venga recensito ed interpretato come genere musicale per estirpargli ogni potenzialità eversiva. Per impedire che fottuti buchi del culo in giacca e cravatta come peppe videtti graziano origa manuel insolera spaccino montagne di cazzate sul Punk, dobbiamo essere noi stessi e parlare, sputare, gridare…”

Capitolo 4 LOUREEDo BASTARDO

Probabilmente stava pensando a qualcosa, magari era anche importante o forse ragionava sui fatti di quell’estate ( le olimpiadi in corso a Mosca e le medaglie d’oro di Mennea Simeoni Oliva e Damilano  la minaccia di cassa integrazione a zero ore per 24mila operai della fiat Ž l’aereo partito da Bologna e caduto nel mare di Ustica) prima che le notizie diventassero una. Non se lo sarebbe mai ricordato perché quando prese a destra dopo il ponte imboccando il viale verso la stazione il mondo precipitò.

L’asfalto trema sembra quasi debba creparsi spezzarti, il cielo rabbrividisce, vacilla, l’aria si riempie di una raffica lunghissima di vento e schegge, le finestre esplodono in risposta al fragore feroce e furibondo che divide per sempre Bologna tra un prima e un dopo quell’istante–quel rumore–quella violenza impossibili.

Nove avrebbe potuto parlare per ore di quell’attimo: aveva contato le schegge e i frantumi, sentito il gemito della terra e lo sbraitare dell’esplosione, l’urlo dei muri sventrati e quello delle persone…

…..

…Alla fine il sole decise d’andarsene lasciando comunque buona parte del suo calore in eredità al catino dello stadio e LOU REED allora fu obbligato a comparire coi suoi 5 musicisti. Sul palco si accendono dei fari rossi: parte la musica, inutile chiedersi con quale pezzo avrebbero cominciato persino Nove sapeva che sweet jane arrivava sempre per prima. Cominciò a ballare non sotto al palco perché un «sotto al palco» non esisteva: la scena infatti era alta, distante e le transenne tenevano lontano il pubblico e al sicuro da invasati&invasori invitati&inviati pronti a raccontarti domani cosa avevi visto e sentito, se ti era piaciuto il concerto oppure no. we’re gonna have a real good time together, waiting for the man… un brano dietro l’altro come fossero solchi di un 33 giri senza una parola rivolta al pubblico laggiù da qualche parte nel buio atteso proprio per non essere costretto a guardarlo. Erano venuti per vedere e ascoltare LOU REED ma chissà cosa vedeva e sentiva lui, certo non qualcuno o qualcosa con cui avere a che fare nemmeno per dire le solite stronzate («grazie prego ciao bologna questo pezzo si chiama, quest’altro parla di»). Nove non lo trovò l’atteggiamento di una star a dispetto di quel palco alto-altero distante-scostante, ma quello di un idraulico o un elettricista: mi paghi faccio il mio lavoro nel modo più veloce e professionale, canto le canzoni che devo cantare prendo i miei 26 dollari e vado ad aspettare il mio uomo. Un dentista impegnato a cavarsi uno dei suoi denti.

Il concerto scivolava via pulito fra riff e coretti, testi sciorinati senza deviazioni o esagerazioni piuttosto tagliando e togliendo un verso qua e là (così facciamo un po’ prima): Lou faceva il suo mestiere, quanto doveva, non un gesto di troppo non uno sforzo in più o una goccia sprecata di energia o sudore: non suonava per loro (non suonava per lui nonostante cosa avessero significato per Nove le sue canzoni) ma stava lassù con la sua chitarra elettrica dalla cassa trasparente, gambe appena divaricate precisamente nel mezzo del palco nella stessa posizione e (sembrava) con la stessa espressione. Verso la fine del pezzo voltava le spalle e guardava il batterista come a sfidarlo a battere ancora una volta sul tamburo, alzava il manico dello strumento abbassandolo bruscamente per dichiarare la fine del pezzo (… e anche questo è fatto).

La musica arrivava da lontano e rimaneva distante, sarebbe stata esattamente la stessa anche senza un pubblico, mentre zolle di terra e altri missili terra aria volavano verso il palco più alto disponibile sul mercato.

Capitolo 5 2 AGO

…cosa era successo? Sorpresa e paura gli si mescolavano dentro ma andò lo stesso verso la stazione. Il lato sinistro non esisteva più. Macerie e corpi. Polvere. Sangue. Grigio e giallo. Grida. Incredulità. Taxi accartocciati e sepolti. Polvere. L’insegna «bar ristorante» scesa a coprire la scritta «tavola calda». Mattoni. Sirene. Sconcerto. Grida e macerie.

Nove cominciò a togliere pietre e mattoni come facevano altri, come facevano tutti… pietre e corpi resi pietra. Cos’era successo? È esplosa la caldaia, rispose qualcuno

La stessa di piazza Fontana

Capitolo 6 COnTRO

Sabato pomeriggio disco d’oro… Se credi mi perda a parlare di quanto sia importante sentirsi parte di un gruppo, di senso di appartenenza, sentirsi accettati, essere vicino-legato-unito a persone simili nei gusti e nel pensare ti sbagli (o forse no visto che lo sto facendo), ma quel giorno sembrava esserci qualcosa di diverso. Meno…

stop.

riavvolgi.

moviola.

Sabato. Mese di orrore. Disco. d’oro. C’era davvero qualcosa di diverso. Meno pelle. Meno spille. Meno toppe e bondage.

Meno…

colori?

Meno qualcosa e qualcuno PIU’ di altro e altri UGUALE diverso

panoramica.

ZOOM

Vicino alla porta un ragazzo giovane 14’anni (forse meno) al suo fianco uno più alto con delle riviste sottobraccio, stesso look: fred perry, jeans sbiancati con la varechina/pantaloni attillati a tartan rosso, anfibi, bretelle, capelli poco più lunghi dei suoi (il barbiere della naia non avrebbe avuto alcuna soddisfazione). Pantaloni rossi andò incontro a Nove.

Capitolo 7 Oi!

Il rumore stridulo e fastidioso di auto in brusca frenata troncò ogni dialogo davanti al Disco D’Oro: a sinistra una pantera/volante a destra l’alfetta/civetta bianca che polizia e carabinieri sembravano scambiarsi nei giorni pari e dispari. Chiamarla retata sarebbe troppo, rottura di palle troppo poco: avrebbero controllato i documenti (era in vigore la legge kossiga te la ricorderai) e qualcuno poteva finire a casasbirra per far divertire le guardie: «accertamenti» li chiamavano le 2 gang meglio organizzate in città.

Senza scambiarsi una parola Alex e Forti si avvicinarono alle pantere volanti facendo schermo a Nove: lui non aveva niente da mostrare e da accertare soltanto il suo coltello.

Capitolo 8 MATE

Come andresti a Londra?

in aereo, macchina, teletrasporto, treno?

Nove andò in corriera da piazza maggiore a buckingham palace, circa 1380 chilometri, qualcosa in meno se hai già cominciato a misurare in miglia.

Mese del pugno, pomeriggio entrare nell’autostazione di Bologna e uscire a Victoria Coach-London-England: questa era l’idea accompagnata da una carta d’identità fresca di maggior età, una borsa con tutti i suoi averi (dischi&cassette&coltello lasciati in custodia a Pantera), sterline contanti e un paio di 10milalire divise equamente fra la tasca destra e quella sinistra.

Capitolo 9 NOVE

4 SKINS BUSINESS e THE LAST RESORT avrebbero suonato in un quartiere nell’ovest della città sebbene si chiamasse Southall (ma d’altra parte anche il WEST HAM dei MARTELLI è nell’east end). THE LAST RESORT (il negozio) aveva organizzato 2 pullman per andare al concerto, ma loro preferirono il treno da Paddington e pochi minuti a piedi lungo South road e poi sulla Broadway: un chilometro o poco più ed ecco, a fianco di un canale, l’Hambourgh Tavern. Quell’area veniva chiamata «Little India» e quando arrivarono verso le 7 c’erano (anche per quanto accadrà poi mi sembra la parola giusta da utilizzare) diversi indiani agli angoli delle strade: Nove era con un gruppo di circa 15 skinhead e sopportarono solo occhiate e frasi ostili a cui risposero nello stesso modo. Solo minacce, ma di fronte al locale dall’altra parte della strada di indiani ce n’erano almeno 300 con una 20ina di guardie a fronteggiarli.

L’evento era stato combinato da skin del posto o di qualche altro posto, lui non lo sapeva e certo non si chiese di quale colore di pelle o politico fossero gli organizzatori, si disse poi che la taverna fosse già stata multata per aver permesso l’ingresso solo a clienti bianchi, ma sono tante le cose che si scrivono e si scoprono poi.

C’era tensione nella sala, un po’ come nel FORTE APACHE dei film western, si diceva che il furgone dei BUSINESS (20 persone di cui 6 ragazze e solo 3 skinhead) fosse stato attaccato al grido di ‘white trash’ e ‘fuck off home’ (Nove non era sul van e quindi niente traduzione) mentre altri erano stati aggrediti o solo minacciati com’era capitato al suo gruppo. Il locale comunque era pieno, per la metà di skinhead e poi punk rockabilly e né questo / né quelli (sbagliato chiamarli normali che non vuol dire assolutamente niente) con o senza uniforme, nessuno voleva farsi rovinare la serata pensando potessero esserci guai, fuori però il numero di indiani e giacche blu aumentava e aumentava … non in proporzione

Capitolo 10 9 +

Guardi una cartina e te ne accorgi: viaggiare verso sud è come andare in discesa e rispetto all’andata il bus -> autocar -> corriera ci avrà quindi messo qualcosa in meno per scaricare Nove all’autostazione di Bologna.

Appena sceso immagino se ne andò subito a casⒶccupata senza preoccuparsi di control-lare se le 2 TORRI fossero ancora al loro posto e ti stupirà sco-prire che avesse comprato un regalo a Pantera: proprio così → da una sportina color ciano di THE LAST RESORT spuntò la t-shirt bianca del tour europeo di Hitler (la pensavano entrambi nello stesso modo NO politica SÌ a una risata: più importante una riduzione di 100 lire nel prezzo della birra alla spina [o di un fla-cone di colla] che un cambio di governo)...

ULTIMO CAPITOLO

Spuntavano gruppi Oi! e fanzine DOVUNQUE e DOVUNQUE si organizzavano concerti e allora li metterò tutti in un cap-pello a cilindro e ne pescherò uno a caso: KLAXON – FUN – NABAT al cinema Alfieri di Roma → cominciò in ritardo e chiunque ci fosse andato ingannò il tempo prosciugando il circondario di qualsiasi cosa contenesse alcol e quando final-mente il primo gruppo riuscì a salire sul palco, tutti urlarono insieme al cantante…
…non avremo mai più pietà della chiesa! o da soli se avevano bevuto abbastanza.

Lo scontro si scatenò alle prime note di chitarra di ASOCIALE Oi! dei NABAT e a terminare CANZONE&CONCERTO fu quindi il solito hardcore degli sbirri… Impossibile non pensare almeno per un istante come non servissero perfidi-pessimi-potentissimi «LORO» a dividere, ma fossimo capaci di sbranarci da soli l’uno con l’altro:
→ c’era chi provava a cambiare il mondo con bombe e P38
→→ chi chiedeva solo un angolo in cui viverci a modo suo come gli anarchici e
→→→ quanti non sapevano cosa cazzo volere, pronti a calpestarsi per il nulla a cui aspiravano non appena le guardie facevano mancare i manganelli…

Per ascoltare la colonna sonora della storia vai alla playlist youtube:

https://tempiselvaggi.altervista.org/soundtrack/